INTERVIEW: MANA (HYPERDUB RECORDS)

Siamo a Torino, in una cornice surreale sul tetto del Lingotto, una volta fabbrica della fiat ora un centro commerciale situato di fianco a Eataly, e dal 2008 teatro delle due serate principali di Club To Club Festival.

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Club to Club è un festival che negli anni è cambiato molto, è cresciuto, ha cambiato varie location (ciao Hiroshima Mon Amour) cercando sempre di mettere d’accordo un pubblico attento ai nuovi trend della musica elettronica, con chi invece dall’elettronica vuole solo certezze: l’anno scorso Total Freedom e Autechre, quest’anno Kraftwerk e Arca & Jesse Kanda, e sono solo i primi nomi che ci vengono in mente.

In questi anni, che ci hanno visto partner, reporter, e persino ospiti di club to club con Ptwschool Showcase, una delle certezze che hanno accompagnato tutte le edizioni è lui: Daniele Mana, Vaghe Stelle, ora semplicemente Mana. La nostra lunga chiacchierata che ha preceduto l’arrivo sulla pista automobilistica sopra al lingotto dalla stazione di porta nuova, ha fatto emergere diversi spunti che proviamo a riassumere in queste domande, un’intervista fatta con la consapevolezza di entrambi di essere in un periodo di cambiamenti e crescita, lui con un nuovo nome, noi presto con un nuovo sito.

Ciao Daniele, abbiamo iniziato l’articolo parlando di Club To Club e di come tu ci sia sempre stato, probabilmente la prima volta che ti abbiamo visto suonare era un dj set dentro il museo della scienza e della tecnica, ma non era sicuramente la tua prima volta. Cosa ricordi di quel periodo, com’erano i dj set di Vaghe Stelle e come hai visto crescere club to club e il suo pubblico in questi anni?

Essendo cresciuto a Torino ho iniziato ad andare a C2C quando ero ancora un sedicente sedicenne, puoi immaginare la mia emozione la prima volta che ho avuto l’occasione di suonarci per davvero. È passato tanto tempo dalla prima volta che ho messo piede su un palco del festival, al cafè procope nel 2005 credo… nell’arco di più di 10 anni l’ho letteralmente esplodere e passare da festival italiano a uno dei più importanti festival europei.

È inevitabile pensare a questo festival come qualcosa che ha cambiato la città, una torino che negli anni ’90 era molto legata a un certo tipo di elettronica che gradualmente sta andando a scomparire. quello che noi pensiamo è che tu possa essere stato uno dei primi musicisti torinesi a uscire dall’equazione elettronica alternativa = boosta dei subsonica e serate ai murazzi. con chi (se c’è’) hai condiviso la nascita del progetto vaghe stelle e chi sono stati i tuoi primi artisti di riferimento – locals e non, famosi e non – a cui ti sei ispirato?

Ricordo ancora la prima volta che, a 19/20 anni, ho portato un demo a Sergio (Ricciardone) nel vecchio ufficio di Xplosiva a Vanchiglia. Ero troppo timido per parlarci di persona, ma sapevo che dovevo passare da lui se volevo avere una chance di vivere da vicino la musica elettronica.
Da quel momento la città e la musica che si suona è cambiata tantissimo. non posso dire di essere stato il primo a fare niente, ma la città cambiando mi ha cambiato. diciamo che è stata una trasformazione fisiologica. il mondo della musica cambiava e con lui anche l’offerta musicale in città doveva cambiare. con guido, ora co—art director di c2c , abbiamo tirato su una serata settimanale prima al puddhu, poi all’Astoria, in cui proponevamo quello che secondo noi era il meglio della nuova scena musicale internazionale.
In contemporanea però altri facevano lo stesso in altre direzioni, ale ora XIII (@xiisc) e parte del collettivo Gang of Ducks insieme a Beppe che ora ha Details, un’altra etichetta di grande qualità, gestivano una serata che si alternava a SRSLY al Puddhu, sempre ai Murazzi.

“La scena di Torino di cui faccio parte ora è nata là. Ci trovavamo tutti i weekend, siamo cresciuti e trasformati insieme.”

Club To Club spesso si sposta a milano per le sue preview ed eventi speciali, forse per mancanza di strutture in una città che fa sempre più fatica a far ballare i ragazzi come noi la notte. così anche tu a milano hai tanti amici, uno su tutti Lorenzo con cui condividi anche il progetto One Circle. Che differenze percepisci tra le due città e quali sono i rispettivi pregi e difetti per uno che fa il tuo stesso lavoro, tra serate, sound design e live?

Secondo me, correggimi se sbaglio, Torino rimane una città hardcore e con una scena che fatica ad emergere in modo globale, per scelte ma anche per un attitudine innata e forse più provinciale. milano ha dalla sua il fatto di essere l’unica città internazionale in italia, eventi e arte e moda in continuo movimento. Torino da un lato è molto più noiosa e chiusa in se stessa, molto più povera e meno disponibile alle novità. non credo che sia totalmente un male, ma sicuro richiede qualche energia in più per poterla amare e viverci cercando di puntare verso un pubblico internazionale. Milano offre più occasioni e visibilità senza dubbio, a me piace milano, ma sono nato a torino una città che mi tiene legato a se in una spirale che ancora può darmi qualcosa.

Come dividi il tuo tempo tra fare l’artista – quindi vaghe stelle / mana – e il tuo lavoro vero e proprio di sound designer? pensi che possano essere due ambiti che si influenzano a vicenda, nonostante si tratti di produzioni musicali da un certo punto di vista diametralmente opposte?

Sono due approcci al fare musica totalmente diversi. Uno su committenza, quindi totalmente legato a standard e richieste fatte da un’altra persona, brand o film maker. Fare musica per me è uno sfogo di cui ho bisogno per poter star bene, ma ho bisogno anche del lavoro da sound designer per poter stare bene e mangiare, quindi li amo allo stesso modo.

In un modo o nell’altro si influenzano a vicenda, è inevitabile. Grazie ai lavori commerciali sono diventato un drago di Ableton, velocissimo e con una libreria di suoni che mi permette di fare tutto quello che mi viene in mente. Grazie al mio percorso artistico riesco a dare un tocco originale ai miei lavori commerciali.

“Come batman e bruce uno non può vivere senza i soldi dell’altro, lol”.

Quest’anno porterai sul palco il tuo primo live manifesto del nuovo progetto Mana. Come stai per affrontare quest’esperienza e come ci hai lavorato?

Per la parte visuale ho lavorato con Stefano Maccarelli, che mi ha aiutato a rendere reale la mia idea di suonare dentro un temporale, una tempesta di fulmini e nuvole. Abbiamo lavorato con due ingeneri che hanno fatto sì che la mia musica generasse randomicamente flash e fulmini dentro a una nuvola circoscritta di fumo denso e bianco. Ho voluto che la mia musica avesse la faccia di un temporale proprio per la sua semplicità e il romanticismo che riesce ad esprimere .

Che poi usare la parola “live” con la tua musica è riduttivo, sappiamo che cerchi di raggiungere e avvicinarti più a un discorso di installazione sonora che si mescola con vari input video, relazionandosi volutamente con lo spazio circostante. “live” può voler dire tutto, anche Giorgio Moroder in playback è “live”, per dire. Tu fai più un discorso da filosofia del suono, puoi spiegare meglio questo concetto a chi ci sta leggendo e forse si è perso un attimo?

Il termine live nella musica elettronica è sempre controverso. Uno legge live e si aspetta uno che suona tutto, drums, synth, pad chitarra, basso, canta e fa visual  o si aspetta di vedere i Rolling Stone sul palco? Credo che il termine live sia adattato alla performance collettiva. Proporre la propria musica, cambiare lo spazio e le sensazioni del pubblico. Incontrarsi con il pubblico a metà strada e andare insieme in un posto che non esiste se ascolti il disco a casa mentre mandi le mail.
Può far ballare o pensare intensamente a cose che non pensavi esistessero, ma

“il succo della parola live sta nel creare qualcosa che prima non c’era”.

Bon importa secondo me quante macchine ci sono sul palco o se usi solo vinile. Può essere un iPad e un microfono, ma se funziona, funziona . Il challenge vero è anche imparare a suonare i diversi palchi e venue come uno strumento per modificare ad hoc il proprio show senza perdere l’intenzione. Se non si ha l’opportunità o la scelta di girare con il proprio Sound System, adattarsi e cambiare a seconda del posto è una delle cose più importanti. Un locale o la location di un festival possono cambiare totalmente uno show, il suono fa circa 80% del lavoro, ma anche l’ambiente in generale possono lavorare a favore o sfavore. Il soundcheck è il momento chiave per capire come e dove adattare la propria musica alla venue .

Nel tuo primo Creature ep su hyperdub ci sono alcuni pezzi con titolo italiano, altri in inglese, poi ce n’è uno che si chiama crystalline, una parola che hai pure tatuato sul polso. puoi farci un breve track by track spiegando in poche parole il significato e le motivazioni sulle scelte di questi titoli?

Fade, arriva in fade è dinamica, cresce lenta, dinamica, abbozza all’rnb ma poi torna su un lead dissonante. È un intro a un discorso che sta per iniziare intensamente.

Crystalline è uno statement per me. Il tema del disco è l’onestà, essere veri e sinceri con quello che sì è. È la musica più onesta e sincera che potevo fare, cristallina in quel senso,

“non ho usato compromessi e ripeto a me stesso che non devo aver paura ad essere quello che sono”.

Sei Nove ha due facce opposte l’una all’altra. l’ambivalenza di essere onesti e di venire fraintesi e visti come weirdos. Ho usato molto la mia voce, sospiri e parole sussurrate un po’ creepy ma anche piano e un lead molto emo e catchy.

Runningman non centra nulla con arnold e lo sci-fi. è il concentrato di ansia che mi colpisce e mi fa scappare via.

Wet Life è una bolla in cui rifugiarsi, sta tutto fuori ma dentro è morbido e niente ti può colpire.

Rabbia è venuta di getto, impulsiva e non esattamente razionale, c’è molta energia dentro che sfuma e si risolve in quella malinconia che arriva dopo che l’adrenalina scende.

Uno e Solo perché stare da soli fa bene.

Consolations è il primo pezzo che ho fatto, ispirato a consolations di Liszt.

Cos’è per te un album senza i kick della cassa? Creatures ne è totalmente assente: fa parte del tuo processo di evoluzione che lascia sottointendere un velato distaccamento da tutto ciò che è club? O è più un’esigenza?

No è stata un necessità. Avevo bisogno di lasciare spazio alle melodie e armonie. Lasciare e synth e arpeggi creassero il groove necessario… dare aria e respiro. Sottintendere che là potevano starci delle percussioni, ma non ho voluto metterle perché volevo che fossero degli sketches, delle bozze di idee e emozioni accennate, vaghe, se vogliamo usare una parola che mi piaceva tanto qualche tempo fa, eteree e sospese. Non un limbo,

“volevo lasciare molto di non detto e dare spazio all’immaginazione”.

Quali sono stati i primi feedback di hyperdub (e kode9) ai primi ascolti del tuo ultimo lavoro? e soprattutto come è nata questa collaborazione?

Credo che come tutti  gli a&r anche Steve abbia bisogno di innamorarsi della musica prima di farla uscire sulla propria etichetta ed è stato un onore lavorare con lui e un team di persone che rispetto moltissimo. Ci siamo conosciuti qualche anno fa mentre lavoravamo a “A Great Symphony” , un progetto in cui ho creato una colonna sonora per uno spazio della città di Torino usando solo i suoni presi sul posto. Poi quest’inverno gli ho mandato una mail con un po’ di musica nuova… credo che gli sia piaciuta, così mi ha chiesto di fare un EP su Hyperdub.

Prima hai citato Batman e Bruce Wayne, è stato un paragone molto azzeccato , quindi per chiudere quest’intervista ti chiediamo: dov’è ora vaghe stelle e cosa sta facendo?

Ahahah, Vaghe se ne è andato in vacanza per un po’… non so quando o come, ma prima o poi tornerò a fare qualcosa come Vaghe Stelle anche perché non sono uno che butta via le cose molto facilmente.

Special thanks: club to club
Foto & intervista: RFM

facebook.com/mmmmmmmaaaaannnnnaa
mana1.bandcamp.com

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