DUE RIGHE SU “THE OOZ”, L’ULTIMO ALBUM DI KING KRULE

Perché di due righe si tratta, dal momento che per parlare con adeguata perizia dell’ultimo lavoro del giovane Archy basterebbe forse un saggio, meglio un libro. Come tutti immagino sappiate, settimana scorsa è uscito “the ooz”, secondo disco di King Krule, a distanza di quattro anni da quella mina che è “6 Feet Beneath The Moon”.

L’album è stato subito messo da tutti su un piedistallo (Pitchfork gli appioppa un bel 9/10), tanto da far sorgere il dubbio che non sia stato neanche ascoltato dai più (ops, mi è scappato, ndr). Eppure fin dal primo ascolto si capisce che “the ooz” è un album che va prima assaggiato, poi ingurgitato e infine digerito.
Archy ci fa entrare nel suo mondo fatto di sensazioni, umori, pillole contro l’insonnia e una moltitudine di generi musicali attraverso il primo pezzo “biscuit town”, una sorta di portale che ci fa scendere nell’abisso dove kk lascia intendere di alloggiare (“i seem to sink lower”).
La cosa più strana di questo disco è che anche nei momenti di maggiore lucidità e di descrizione di particolari (vedi il racconto contenuto in “Dum Surfer”) sembra che tutto ciò che lo riguardi faccia parte di un sogno o di un incubo a seconda (“i can’t sleep at night, never slept at night / but she still sits in my dreams”).

Perciò l’uomo che perde la scommessa con lui, la ragazza incontrata al bar o (in “Emergency Blimp”, forse il pezzo più figo dell’album, che suona lontanamente simile a “Easy Easy”, ma più incazzato) il medico che gli prescrive le pillole contro l’insonnia, sono figure che potrebbero far parte della nostra vita come di un racconto di Buzzati, di quelli che quando finisci di leggere chiudi il libro e stappi una bottiglia di monte.

Nel disco c’è spazio per il suo sogno di essere uno “Yung Franco Zola”, per una citazione dei soprano, ma soprattutto per sé stesso. Perché la sensazione che emerge di più è quella di un ragazzo solo e unico, che ha reso la propria solitudine una virtù, ma che lo isola in un mondo che non gli è familiare, che viene descritto al meglio dal concetto che sta dietro a “sublunary”, traccia emblematica da questo punto di vista.
Il titolo proviene dalla concezione greca, precisamente di Aristotele, un’atmosfera – sublunare appunto – in cui tutto cambia in ogni momento. E in mezzo a questo caos cosmico che si conclude in un vuoto universale c’è Archy, che vi affonda, che sprofonda giù, giù verso la “biscuit town” della prima traccia.

Insomma, siamo arrivati alla conclusione e non siamo riusciti a tirare le somme di un album davvero strano, ma che promette di sganciare una bomba segreta ad ogni nuovo ascolto.
Quindi posso dirvi cosa non è “The Ooz”: un album superficiale, un album da ascoltare prima di una serata passata a “trappare hard” (ok, forse dopo), un album felice. Perché se archy ha sfornato un capolavoro, come tutti amano affermare e come anche qui iniziamo a sospettare, è perché dietro quell’arruffato mucchio di capelli rossi c’è un uomo turbato, ansioso, che dice no a un feat con kanye, ma probabilmente anche un genio.

CIAO YUNG LOOK-A-VIALLI

REVIEW BY FILIPPO MANGILI – @DEMOSTEEN

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