Interview: Omar Gabriel Delnevo, Listening Sessions for Piano, SPRINT 2021

A due mesi di distanza dal live di apertura dell’ottava edizione di SPRINT, pubblichiamo questa intervista curata da Enrico Tarò (c/o Amphibia & Habitat) che sancisce anche quest’anno il nostro supporto speciale al salone di editoria indipendente, secondo noi, più importante in Italia. Quello di Gabriel Omar Del Nevo è stato un intervento musicale indimenticabile che ci ha fatto tenere gli occhi aperti per circa trenta minuti, all’interno di uno Spazio Maiocchi mai così buio. Scopriamo di più su di lui e sulla sua musica nell’intervista che potete leggere qui su Ptwschool.

Un contenuto realizzato per SPRINT—Independent Publishers and Artists’ Books Salon — www.sprintmilano.org

© Ritratti di Riccardo Fantoni Montana presso Spazio Maiocchi, Milano
© Immagini live e video di Elena Radice, Enrico Boccioletti, Ilenia Arosio

Intervista di Enrico Tarò @lamatigre, Amphibia, Habitat

Omar Gabriel Delnevo è un giovane pianista e compositore con base a Milano, protagonista del Fundraising Party della nona edizione di SPRINT-Independent Publishers and Artists’ Book Salon. Ho avuto il piacere di fare una chiacchierata con lui e di trarne quest’intervista per Ptwschool che mi dà la possibilità di un primo personale avvicinamento alla narrazione di contenuti musicali. Ci siamo sentiti telefonicamente un paio di giorni prima dell’evento, in mezzo alla preparazione dello spettacolo, per Omar, e delle ultime elucubrazioni grafiche per me, in qualità di espositore al salone con Habitat ed Amphibia.

Lo scambio è stato immediatamente divertente ed interessante. Mi ha dato un’importante visione su come un giovane musicista viva il potere della musica classica e della sua esecuzione nel 2021. A posteriori posso confermare che la serata è riuscita in modo splendido e coinvolgente: Spazio Maiocchi, completamente libero, con solo il pianoforte al centro, ha assunto un’aura delicata e raccolta. Solo delle piccole luci colorate al di sotto dello strumento hanno spezzato questo buio torpore.

Omar è stato intenso e delicato, sia a livello sonoro che performativo. Un momento saliente è stato l’apertura del coperchio del pianoforte, depositato poi a terra come un corpo in penombra, per permettere al musicista di “entrare” e suonare direttamente le corde, dando una sensazione apocalittica e trasformativa allo stesso tempo. Il pubblico è stato in silenzio anche tra un brano e l’altro, fino al penultimo. In quell’intervallo, è partito un lunghissimo e caloroso applauso, frutto di momenti davvero intensi vissuti collettivamente.

Ciao Omar, come stai? A che punto siete con la preparazione del Fundraising Party?

Ciao, tutto bene, i preparativi per me vanno avanti già da un mesetto, quando ho iniziato a studiare i brani selezionati per la serata. Li ho suonati tutti i giorni, ma solamente quando faremo il soundcheck a Spazio Maiocchi avremo idea della resa effettiva che avranno.

È stato previsto qualche accorgimento ad hoc per implementare la tua performance? Mi ha incuriosito la frase misteriosa nel testo di presentazione dell’evento sul sito di SPRINT: “The environment of Spazio Maiocchi will be sculpted by electromagnetic waves, shaped by colloidal dispersions of solid particles and defined by mechanical vibrations”.

Quando Dafne mi ha contattato aveva già in mente un’idea di allestimento dello Spazio per una situazione immersiva del genere. Il mio desiderio è quello di creare un momento intenso, introspettivo e raccolto, che vorrei fosse caricato di significati dalla combinazione con la location. Si lavorerà principalmente con dei set di luci, unito alla disposizione del pubblico attorno al pianoforte. C’è una buona parte di sorpresa anche per me, che scoprirò durante il soundcheck.

L’esecuzione richiede l’uso di un pianoforte a coda, giusto? Sarà necessaria amplificazione nello Spazio?

Esatto, il piano a coda è indispensabile per alcuni brani, che prevedono un contatto diretto sulle corde, cosa molto più difficile su un pianoforte verticale. Sarà al centro dello Spazio e il pubblico vi si disporrà abbastanza liberamente attorno.
Non penso sarà necessario amplificare lo strumento, essendo all’interno di un luogo molto alto e con grandi superfici vetrate si crea un lungo ed interessante riverbero, che penso potrà caratterizzare l’ascolto.

Sono stato incuriosito dalla scaletta della serata. Si parte da uno stampo relativamente più storico e delicato, con Schumann, per poi allargare lo sguardo ed arrivare fino a George Crumb, compositore contemporaneo dalle varie peculiarità sonore. Mi puoi raccontare quale è stato il tuo pensiero per la costruzione della sessione? C’è un messaggio che vuoi portare ai partecipanti?

Nel mio percorso di studio del pianoforte, al Conservatorio, mi sono trovato a lavorare principalmente sull’interpretazione della musica classica. Questo lato ha sempre convissuto con una grande fascinazione per il suono più sperimentale. Nel tempo ho cercato di trovare un mix tra i due approcci.

Trovo importante costruire delle proposte in grado di rappresentare un incontro tra classicità e contemporaneità, anche restando nel medesimo ambito, ovvero quello di una musica classica di stampo occidentale.
Ho scelto per la serata pezzi che, anche singolarmente, mi piacciono molto. Sono partito dall’idea di inserire i brani di Scriabin e Messiaen, che per me hanno un’energia uguale, ma opposta. Scriabin ha come sottotesto una visione apocalittica del mondo che viene inghiottito dalle fiamme, mentre Messiaen, che parte da un immaginario cristiano, ha un’aura molto bianca, riverente, messianica. Ha un andamento quasi da ninna nanna.

Studiando questi brani, mi è venuto in mente dal nulla Vogel als Prophet, di Robert Schumann, che aprirà il programma. Questo è una miniatura, quasi un arabesco medievale, dal carattere abbastanza enigmatico. Qua ho ricollegato delle ricerche portate avanti da amici grafici a proposito di alchimia ed incisioni medievali a tema. Hanno costruito un’interessante immaginario quattro/cinquecentesco a partire da ciò, che ho poi sommato a discorsi fatti con un’amica filosofa e scrittrice sui concetti di albedo e nigredo. Si tratta di processi di trasformazione che mi stanno a cuore, come l’idea stessa di metamorfosi. Un’idea che guida anche la mia pratica a livello compositivo.

Per completare questo processo alchemico ho pensato ai brani di Crumb che, prevedendo un uso particolare del pianoforte, possono dare la giusta conclusione dell’atto.

Mi sono soffermato sulla scelta di Crumb perché la trovo molto caratterizzante e perché la ricollego a del materiale che ho ascoltato sul tuo profilo Soundcloud. Una delle tracce presenti, da te composta, si basa su un uso non convenzionale del piano, intervenendo fisicamente al suo interno senza limitarsi ai soli tasti. Questo succederà anche per alcuni brani della performance e mi sembra rappresenti bene il tuo duplice approccio alla musica. Come funziona per te la combinazione tra il mondo classico e quello della sperimentazione? Sono mondi che sembrano lontani, opposti, ma penso che se messi a confronto rivelino una grande vicinanza nell’attitudine.

La cosa è iniziata 5 o 6 anni fa, quando, al Conservatorio, ho cominciato a studiare composizione oltre allo strumento. Ho iniziato insieme ad un amico molto bravo, esperto ed interessato a diverse tecniche sperimentali di uso del pianoforte. Essendo stato questo l’inizio, il mio approccio alla composizione ha da subito avuto un taglio inconsueto, molto deciso. Nel tempo sono riuscito a trovare un equilibrio tra la mia parte più accademica e quella più innata.

Si tratta di un percorso che sento essere ancora in grande evoluzione, dato che ho speso molto più tempo nello studio dell’interpretazione, rispetto alla composizione. Studiando usi inconsueti del piano ho anche scoperto un grande interesse nello studio dell’esecuzione di brani sperimentali, che coinvolgono il musicista in modo differente rispetto alla musica classica.

Non è semplice avvicinarsi alla composizione tramite questo approccio, in quanto bisogna riuscire a capire come tali tecniche agiscono sullo strumento, per farne un uso consapevole che non rischi di danneggiarlo. Avere in questo senso una pratica sia esecutiva che compositiva aiuta su entrambi i fronti, quello della performance e quello creativo.

Purtroppo l’ambito della musica sperimentale acustica è estremamente di nicchia, a volte troppo rinchiuso in sé stesso. Io ho avuto modo di interessarmene perché nelle classi di composizione al Conservatorio è il genere che va per la maggiore. Ovviamente ci sono delle criticità, ma penso abbia una forte valenza, quasi politica. Perciò mi piace portare alla luce questo equilibrio (o disequilibrio), penso sia importante e necessario diffondere questa tipologia di suono.

Qua mi fai assist per un’altra domanda. Sia dalla presentazione dell’evento che dalle tue parole, mi pare di capire che per te è molto importante lavorare sul coinvolgimento dell’ascoltatore, in un modo che non crei una fruizione passiva della musica.

Penso che in questo senso la scelta di lavorare tramite listening sessions sia rilevante, proprio perché crea un rapporto più intenso tra esecutore e pubblico, rispetto ad un concerto. Come vedi la questione? Come la contestualizzi nell’ambito del Fundraising Party di SPRINT?

Il fatto delle listening sessions è nato in maniera abbastanza casuale, devo dire, mentre lavoravo ad una serie di concerti brevi. Penso in qualche modo sia nato dall’influenza di mia madre, una vita e mezza fa. Lei si è sempre messa molto in gioco e, quando ho iniziato a studiare il piano, anche lei ci si è dedicata per un paio d’anni. Al saggio di fine anno, sul palco, anziché semplicemente sedersi e suonare, lei si mise a parlare presentando i pezzi e la sua esperienza nello studio degli stessi. Penso che, inconsciamente, questa cosa mi sia rimasta un po’ in testa.

Una delle problematiche che ho sempre trovato nei concerti di musica classica è la durata, (solitamente sulle due ore) che trovo troppo lunga. Questo specialmente perché parliamo di un genere che richiede un notevole sforzo percettivo ed un grande livello di attenzione e concentrazione. Spesso, poi, il pubblico non viene guidato nell’ascolto e non ha troppa consapevolezza di ciò che sta sentendo.

Sommando questi fattori: l’idea delle listening sessions deriva dal desiderio di dare al fruitore gli strumenti e le condizioni necessarie a vivere e comprendere appieno la musica che ascolta e, in secondo luogo, di creare un’esperienza che vada oltre all’esperienza canonica del concerto.
Aggiungo anche che, avendo un tempo ridotto a disposizione (sui 45 minuti), mi trovo a dover concentrare il cuore della mia ricerca da interprete. Questo avviene molto tramite la scelta della scaletta. Brani dalla consistenza più astratta hanno bisogno di essere contornati da altri più concreti, sia a livello sonoro che di immaginario. Ad esempio, un brano di Debussy, che dà un’idea molto specifica (sia essa quella dei riflessi nell’acqua, del movimento o quant’altro), o anche di Ravel, funziona molto bene per bilanciare qualcosa di più astratto, come potrebbe essere Feldman.
Come in una ricetta, in un esperimento alchemico, si tratta di dosare bene gli ingredienti e creare una reazione, che sia coinvolgente e reale.

Mi viene anche da pensare che la classica è purtroppo un po’ relegata ai suoi ambiti molto specifici, i quali solitamente sono lontani specialmente dal pubblico giovanile. Questo nonostante la sua rilevanza a livello storico e di influenza nell’evoluzione della musica in generale.

Ho in testa un programma RAI degli anni 70, Incontro con Don Cherry, condotto da Franco Fayenz. Nell’introduzione al pubblico di un pilastro del free jazz mondiale, esso viene avvisato che la musica che andrà ad ascoltare gli risulterà probabilmente inconsueta, strana e magari poco comprensibile. Proprio per questo motivo, però, la conduzione si augura che questo straniamento possa essere anche educativo, in grado di alterare lo standard di musica nella testa del pubblico.
Volevo chiederti se secondo te è possibile ragionare in questi termini anche con la musica classica, specie provando a portarla in contesti dove magari è più normale un’atmosfera di festa e, quindi di una fruizione più “leggera” della musica.

Dunque, premetto che penso la musica abbia milioni di modi diversi di essere fruita, perciò quando si va in cerca di un’atmosfera di festa ci si va con una predisposizione completamente diversa da quella con cui si va ad una listening session di musica classica.

Se dovessi trovare una differenza tra il mio approccio e quello che della RAI a quei tempi (di cui tra l’altro consiglio anche le trasmissioni a proposito di musica contemporanea condotte da Luciano Berio) è che forse il mio metodo non vuole essere troppo educativo. Non lotto per una maggiore diffusione della musica classica nel nostro quotidiano, perché la considero una musica storica, con il proprio contesto molto determinato di valori ed impostazione. Non bisogna cadere nell’errore di voler educare il pubblico, anche perché non basterebbero le listening session per questo scopo.
La funzione più importante che penso possa avere questa via è quella di creare un’esperienza a 360°, avvolgente e penetrante (magari unita ad altri layer, come quello scenografico) che aiuti il pubblico a percepire la musica non solo con le orecchie e il cervello, ma con tutto il corpo. Questo potrebbe, forse, portare con più facilità ad avvicinarsi al genere.

Vedo un possibile paragone con l’attitudine di SPRINT che, da anni, in modo non profit e con un sacco di determinazione porta alla luce realtà, personalità, stili e contenuti innovativi. Anche qui, senza la specifica intenzione di educare o di dire che questo è il futuro o l’alternativa, ma semplicemente dando alla gente la possibilità di scoprire che cosa c’è al di sotto del mainstream e di cosa esso si nutre.

Vorrei ancora chiederti se, nello sviluppo delle future sessioni d’ascolto, hai qualche desiderio o prospettiva particolare che ti piacerebbe approfondire, magari anche a partire da occasioni come questa.

Devo dire di si. Questa esperienza si sta sviluppando in modo molto spontaneo, nel senso che spesso sono situazioni dove mi ritrovo con piacere libero di immaginare e progettare. Vorrei dare maggior spazio alla mia ricerca compositiva, portando materiali scritti da me. La listening session è d’ispirazione in questo senso, perché mi permette di sviluppare delle situazioni che includano diversi aspetti della sfera musicale: sia quelli armonici, melodici e ritmici che quelli più liberi e performativi.

Mi piacerebbe portare delle compenetrazioni tra strumenti acustici ed elettronici. Al momento sto lavorando con un’amica molto forte nella sperimentazione elettronica analogica per arrivare ad una performance che mescoli pianoforte e sintetizzatori. Di ciò mi incuriosisce il modo in cui il suono può essere percepito musicalmente anche al di fuori delle strutture musicali di base, quindi al di fuori di melodia e ritmo.
Vorrei esplorare questi confini della percezione, esplorare il suono come musica, come rumore, come sound design…

Penso che la decontestualizzazione sia una delle chiavi principali per una buona sperimentazione e per vivere la musica in modo contemporaneo. Immaginavo che il tuo interesse potesse andare in questa direzione, anche vedendo la grafica della serata, che include una foto di un Yamaha PSS 170.

Esatto, quella doveva essere un’immagine temporanea che abbiamo scattato mentre facevamo il sopralluogo a Spazio Maiocchi. La tastiera è di Dafne, l’abbiamo usata per provare, ed è incredibile. Tra una cosa e l’altra l’immagine è rimasta e penso sia assolutamente in grado di trasmettere il senso della serata.

Pensando allo Spazio e a tutti gli ingredienti che abbiamo discusso sono sicuro che il risultato sarà magnifico. I posti sono già esauriti e direi che è tutto meritato. Grazie Omar, mi ha fatto molto piacere condividere queste chiacchiere ed avere la tua visione su questi temi.

Nel mentre dell’esposizione, ho avuto la possibilità di fare qualche altra chiacchiera con Omar che mi ha aiutato a completare il discorso.
Un elemento in particolare che mi ha aiutato a capire l’attitudine con cui si pone alla musica è stato trovarci entrambi gasati su Kamil Manqus, fantastico disco di Muqata’a uscito su Hundebiss Records (anch’essa tra gli ospiti di SPRINT), di cui consiglio l’ascolto.

Un contenuto realizzato per SPRINT—Independent Publishers and Artists’ Books Salon — www.sprintmilano.org

© Ritratti di Riccardo Fantoni Montana presso Spazio Maiocchi, Milano
© Immagini live e video di Elena Radice, Enrico Boccioletti, Ilenia Arosio

Intervista di Enrico Tarò @lamatigre, Amphibia, Habitat

SPRINT ringrazia Massimiliano Ricci and Arianna Jakubowski
Technical Partner Pedroli Pianoforti

Interview + Podcast: Jacopo Lega, Habitat è una residenza ...Interview: Baratto by Antropofago Productions & Parasite 2.0
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