Interview: Baratto by Antropofago Productions & Parasite 2.0

Baratto è un progetto collettivo da Antropofago Productions e Parasite 2.0 realizzato per l’esposizione collettiva We Will Design che si è tenuta a settembre a Base Milano durante la Milan Design Week 2021. Ve lo raccontiano attraverso dei nostri scatti con un’intervista ai curatori scritta lo scorso Ottobre.

Intervista e immagini © Riccardo Fantoni Montana, Ptwschool (Ottobre 2021)

Abbiamo incontrato Luca, Eugenio e Stefano, fondatori di Parasite 2.0, in un sabato mattina insolitamente tranquillo, capitato in mezzo a quei giorni frenetici (e confusi) del primo Fuori Salone post-pandemia. Era settembre e Baratto è stata la prima presentazione offline di Antropofago Productiondi cui vi abbiamo scritto qualche tempo fa – ma ancora di più, Baratto è una riflessione sul vero valore dello scambio: “Possiamo ripensare il modo in cui scambiamo gli oggetti e il valore? Deve per forza premettere uno scambio bene fisico/ bene monetario?”. Su questa domanda, formulata dai curatori nell’intervista che andrete a leggere a breve, si appoggia il progetto collettivo declinato all’interno di uno spazio alla vista monocromatico, dove per entrare bisogna togliersi, educatamente, le scarpe.

Ciao Parasite, ben ritrovati. Mi piacerebbe aprire quest’intervista chiedendovi prima di tutto un parere da “addetti ai lavori” su questa (insolita) Design Week di Settembre che si è appena conclusa.

Ovviamente un po’ sottotono rispetto alla classica edizione di Aprile. Ma siamo sicuri sia un fattore negativo? Le edizioni che conosciamo precedenti sono anche un grande dispendio di risorse, tra marketing e mondanità. Forse, oggi considerando il tempo in cui viviamo e il dibattito sull’uso di risorse di qualsiasi tipo, sarebbe utile fare una riflessione su come vengono immaginati eventi di una certa scala. Molta gente ha parlato di un’edizione un po’ low-key. Dovremmo chiederci se tutto debba iniziare ad essere un po’ più low-key e meno sfarzoso. Questa diciamo è la prima riflessione che abbiamo fatto. Una seconda, invece, è la differenza nel pubblico. Quest’anno forse è mancata una parte del pubblico generalista, in favore invece di visitatori più specialisti e del settore. In passato crediamo che ci sia stata una troppo elevata congestione in alcuni distretti che non consentiva di visitare bene e andare in profondità in tantissime cose interessanti. Dal nostro punto di vista, ci sembra ci sia stato meno spettacolo e più contenuti. 

Com’è nata l’idea di Baratto? Più che idea si può definire meglio come un’esigenza? Potrà essere un format che si ripeterà in futuro?

Baratto nasce un po’ dalle riflessioni interne al concept di  Antropofago Productions. Spesso si pensa che gli oggetti di design o in generale progettati da un autore ben preciso, abbiano costi elevati o comunque superiori alle medie di mercato, ma forse non è questo il punto. E’ interessante riflettere su cosa e come definiamo il valore degli oggetti. Una volta leggevamo una storia su alcuni capi Pyrex disegnati da Virgil Abloh. Apparentemente dopo aver acquistato delle vecchie camice in flanella per 40$ l’una, ha realizzato sopra delle stampe con scritto Pyrex e 23 in onore di Jordan, per poi rivenderle a 550$ l’una. E’ un aumento di valore incredibile. Può un logo, un marchio, o qualsiasi altra aggiunta, cambiare il valore di un oggetto in questo modo? Capiamo perché Abloh sia un fan di Duchamp. Basti pensare al famoso pezzo “Fontana”. Un orinatoio viene capovolto e firmato. Un gesto che confluisce un altro livello di significato e valore, anche economico ovviamente.

Tutte queste riflessioni condivise, ci hanno portato a pensare a Baratto, dicendo in  modo  anche un po’ ironico, possiamo ripensare il modo in cui scambiamo gli oggetti e il valore? Deve per forza premettere uno scambio bene fisico/ bene monetario? Da qui gli oggetti non in vendita ma da barattare. Ad esempio, nei laboratori si barattava il proprio tempo con una lezione di tessitura a telaio. Oppure bisognava dimostrare le proprie abilità nel vincere un gioco per ottenere un oggetto realizzato con imballaggi di Amazon. È stato interessante vedere come il pubblico interagiva con questi processi e il modo in cui si è sentito coinvolto. In questo senso, come tu stesso dici nella domanda, forse c’è la necessità di immaginare forme nuove di scambio, vista la grande crisi sistemica che viviamo su vari livelli, sicuramente nel sistema economico che continuiamo ad assecondare. 

(1) Lino Gasparisch @lino_ga_
(2) Pavel Polschikov @pavel.polshchikov

Come si è strutturata la vostra collaborazione con gli artisti coinvolti? Ci potete fare una descrizione  di alcune delle opere presentate?

Il progetto è stato pensato come in due diverse sezioni. Da un lato una open call aperta a tutti in cui si potevano proporre progetti sul tema. Dall’altro invece tre figure invitate ad impossessarsi degli spazi organizzando più che una esposizione, dei laboratori in cui coinvolgere il pubblico. I due livelli miravano a costruire un progetto espositivo non statico, ma vivo, un laboratorio in cui diversi mondi si confrontavano e quindi una sorta di mostra in divenire in cui pezzi si aggiungono andando a comporre un risultato finale non completamente pianificato.

Ad esempio dalla open call abbiamo selezionato 11 proposte da artisti provenienti da diverse parti del mondo. La relazione con gli artisti è stata quindi poi da un lato logistica nell’organizzare la spedizione e in alcuni casi dove necessario anche in alcuni aspetti relativi all’allestimento o alla produzione finale dell’oggetto, come nel caso di Marco Selmin e la sua serie fotografica dove abbiamo scelto insieme il supporto di stampa o nel caso di  Bruno Baietto dove abbiamo compreso insieme come allestire il progetto.

Carattere interessante è che nessuno si è approcciato ad una riflessione sul tema del valore in maniera didascalica. Per fare alcuni esempi, Lino Gasparitsch con la seduta “An ode to the balcony” riflette su valore del linguaggio decorativo e formale. La seduta è composta da una serie di profili in legno prefabbricati di solito utilizzati per decorare i balconi nelle baite di montagna. Utilizzando una serie di questi ornamenti in legno, solitamente acquistabili nei vari fai-da-te da Brico a Le Roy Merlin, Gasparitsch va a comporre un nuovo oggetto assemblandoli operando sul valore formale e la sua trasposizione da un oggetto all’altro. In un certo senso qui si riflette sul valore decorativo e su cosa rappresenta, come nel caso delle baite di montagna in cui è specchio di uno status sociale. Oppure Stock-a-Studio, dove l’oggetto può essere spedito nell’imballaggio minimo immaginabile e contenendo le dimensioni in modo. Una riflessione sull’impatto economico e ambientale nel mondo della grande distribuzione e la sua macchina planetaria per circuitare i beni. 

(3) Errring Studio @errring_studio
(4) Marco Selmin @marco_sel
(5) Neostandard @standard404__
(6) Stock-a-studio @stock_a_studio
(7) Bruno Baietto @bbaietto
(8) Atelier Brenda @_atelierbrenda

Parallelamente alla mostra, in quei giorni, ci sono stati anche altri interventi organizzi fuori da BASE, cos’è successo di preciso?

Si è stato un Salone abbastanza impegnativo. Abbiamo presentato ad Alcova The Last Camp uno short movie realizzato insieme a Alexandra Torggler, Sophie Schaffer, e Riccardo Casa come parte di Possibility of an Island, summer school dell’Architectural Association di Londra in Toscana. Possibility of an Island si sta trasformando davvero in un processo interessante che assomiglia sempre di più ad un grande collettivo mescolando tutors, partecipanti e guests in un unico grande corpo. Non è forse il luogo per approfondire su questo processo, ma vi invitiamo a cercare di più.

Altro progetto realizzato è stato Frontescena, una serie di oggetti e performance per le strade di zona Tortona. L’intervento era parte di Restart, un progetto realizzato da Acne-a Deloitte family business e Base Milano. Al centro c’era la valorizzazione di una serie di attività commerciali storiche del quartiere che in qualche modo post pandemia provano a ripartire. Il nostro intervento invitava i commercianti ed i passanti a realizzare/ partecipare ad una serie di azioni e letture occupando le strade del quartiere, trasformandole appunto in una scena, in un palco. Tre elementi posti su ruote erano dei piccoli palchi che in un certo senso riprendono la tradizione del comizio pubblico, del palco improvvisato e degli speaker’s corner caratteristici dell’attivismo politico dal basso. Attraverso la lettura di stralci del “Diritto alla città” di Henry Lefebvre, testo fondamentale per l’attivismo metropolitano a cavallo con il Maggio ’68, le strade del quartiere sono diventati piattaforme di emancipazione collettiva.

(9) Graphics by Offbeat Studio @offbeat__studio

Ci salutiamo con la classica domanda di chiusura: quali saranno i prossimi progetti di Antropofago Productions?

Ci piacerebbe ovviamente trasformarlo in una ricerca continua ed un progetto itinerante. Vediamo cosa riserverà il futuro :) Antropofago Productions lo vediamo anche come un progetto che non deve seguire la continua ansia da produzione di contenuti a cui oggi siamo abituati. Vogliamo che si sviluppi in maniera rilassata, organica e genuina. E’ anche un po’ una buffer zone per noi. Continuiamo comunque a portare avanti collaborazioni con designer e artisti che pubblicheremo nel nostro archivio/ shop su Instagram e Bandcamp. Ne arriveranno una serie nuova proprio nei prossimi mesi!

Intervista e immagini © Riccardo Fantoni Montana, Ptwschool (Ottobre 2021)

Baratto is a project curated by Antropofago Productions and Parasite 2.0 for We Will Design at Base Milano on the occasion of the Milan Design Week 2021.

Interview: Omar Gabriel Delnevo, Listening Sessions for ...Takeover: Paola Ristoldo, Unplanned Pictures
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