Antropofago Productions cannibalizza la scena

Antropofago Productions è il nuovo progetto ambiguo lanciato dallo studio Parasite 2.0. È un collettivo di designer? Un progetto curatoriale? Un negozio online? Una radio? Un brand? Forse tutti e nessuno. Come spesso accade per i progetti dello studio con base a Milano e Londra, non è facile definirne i confini in maniera netta. Bianca Felicori, giornalista e fondatrice di Forgotten Architecture, ha indagato per noi.

↳ Cover image: Spork, by Lucas Thaler

Follow: @antropofago_productions

Nella storia del design incontriamo numerosi tentativi di mettere insieme diversi autori indipendenti sotto lo stesso nome, o forse brand. I soggetti coinvolti sono spesso accomunati da estetiche, intenzioni o modi di interpretare la pratica del designer. Sicuramente il primo a tornarci in mente è il nostro caro amato Memphis di Ettore Sottsass. Ma se proprio dobbiamo trovarne uno che in qualche modo possa assomigliare ad Antropofago Productions – prima però di raccontarne le fondamentali differenze – farei forse più riferimento a Droog. Nato in Olanda nel 1993 dall’iniziativa della storica Renny Ramakers e del designer Gijs Bakker, Droog ha rivoluzionato il mondo del design imprimendo una forte impronta ancora oggi visibile. In una recente monografia dedicata al fondatore Renny Ramakers leggiamo “Was Droog Design a generation of young designers? That’s what it appeared to be. Or was it a movement? Not really. A collective, perhaps? A label? A manifesto? It was none of the above and all of them at once, but never at the same moment – certainly not for the long term”. In un momento in cui l’apice delle discipline progettuali era Philippe Starck, Droog colpisce la scena con una carica ironica e concettuale senza precedenti. Se Droog in olandese significa “asciutto”, i progetti elaborati da membri del collettivo come Marcel Wanders, Hella Jongerius, Tejo Remy, Richard Hutten e Jurgen Bey, sono caratterizzati tutt’altro che da un’estetica asciutta e omologata alle tendenze “minimali” del tempo. Con oggetti spesso inutilizzabili, ibridazioni di elementi, riciclo ed un DIY che ricorda le fanzine punk, il progetto sembra nascere fortemente dall’ironia appunto asciutta Olandese.

Adesso possiamo però tornare ad Antropofago.

Canto Chair by CLUBE

Punk Label

Tornando a noi, la cosa che più forse colpisce di questo progetto ancora ai suoi primi passi è proprio l’attitudine punk e l’esaltazione dell’autoproduzione. La scelta di non avere un sito, ma una pagina Bandcamp – celebre sito dove la musica di musicisti e etichette indipendenti può essere acquistata- sembra voler dichiarare fin da subito la distanza da copertine o progetti patinati. Inoltre, l’immagine grafica generale che caratterizza il progetto rimanda di più ad una casa discografica o a dei flyer stampati per un rave illegale nella Londra primi anni ’90.

Bastard Kitchen ITEM 1, by Parasite 2.0

Più che trend-setter, riesumare gli scheletri nell’armadio.

Siamo pieni di più o meno oneste iniziative a supporto dei cosiddetti giovani creativi, anche se forse non ce n’è mai abbastanza. Ma più che supporto, il progetto di Parasite 2.0 sembra una sorta di ode all’insaziabile produttore di cose che non ha mai trovato il giusto spazio. In un piccolo flyer digitale/lettera d’intenti fatto circolare tra i soggetti coinvolti si legge che Antropofago è “alla ricerca delle opere di cui ti eri dimenticato, rimaste in un hard-disk, cartella dimenticata o angolo impolverato del tuo studio d’artista”. Insomma più che le opere non comprese, gli scheletri nell’armadio che forse non hai mai avuto il coraggio di mostrare?

Campsite by Anton Defant

Mescolare le discipline e fare quello che si vuole senza limiti

Scorrendo il profilo Instagram con un numero di followers da fare invidia ai peggiori social media manager (so punk!), salta fortemente all’occhio la differenza nell’archivio. Tra sedie, cassette-tape, tappeti, libri, strumenti musicali, la cosa che li accomuna è un’estetica grezza, scarna, senza fronzoli o etichette. La raccolta sembra ricalcare una certa strafottenza contemporanea da tutorial di Youtube: l’idea che chiunque possa lanciarsi nell’impresa più ardua. Allora il collettivo di artisti The Collective of Collective può fare un mixtape in formato cassetta come agli albori del Rap. Oppure il duo PLSTCT può tatuare un blocco di cemento. Fino ad arrivare al designer russo Errring Studio con dei blob deformi senza apparente funzione da appendere al muro. Antropofago Productions sembra un manifesto del “tutto è possibile”, basta provarci e non predersi troppo sul serio pensando al risultato finale.

↳ 1) Nasty Temple Radio 2) Tribal Concrete 3) Liquid Foam Rubber 4) Please Stand Up

Fuck Instagram! Fuck over production!

Le prime etichette DIY gridavano Fuck Major! Ricordo ancora una foto del cantante dei NOFX suonare ad un concerto di MTV con scritto sul petto Fuck MTV. Ecco, Antropofago sembra dare un bel “vai a quel paese” ad instagram e all’omologazione estetica causata dal social delle immagini per eccellenza, ma sguazzandoci dentro agilmente. La pagine bandcamp recita: “Antropofago Productions è una reazione all’umana ingordigia nel consumare oggetti e artefatti attraverso immagini e social media”. Un forte statement nell’era degli NTF. Se guardiamo al nome, Antropofago ci rimanda appunto al cannibalismo, alla famelica arte del digerire qualsiasi cosa. Riferimento, di cui il progetto si è cannibalmente appropriato, è il Manifesto Antropófago pubblicato nel 1928 dal poeta Brasiliano Oswald de Andrade. Il testo è stato spesso letto come una lode alla grande forza del Brasile nell’appropriarsi cannibalmente di altre culture, con il modernismo primitivista che ha caratterizzato ad esempio il lavoro di Lina Bo Bardi. Per Andrade è proprio questo cannibalismo in senso lato la via con cui il Brasile combatté la dominazione post-coloniale Europea. In parole povere, il colonizzato dovrebbe cannibalmente ingurgitare la cultura del colonizzatore, digerendola a suo modo. Antropofago Productions dal canto suo, non si propone un così grande obiettivo, ma sembra voler combattere la colonizzazione del design dal regno delle immagini e dell’omologazione delle estetiche.

Packed Synthesizer, by JB Gambier

Per chiudere il filo e come se non bastasse, Antropofago ha anche un radio-show bisettimanale su Radio Orsimanirana, progetto che accompagna una grande mostra di Jerszy Seymour, che forse potemmo chiamare il designer-daddy dell’attitudine descritta sopra e con cui non a caso Parasite 2.0 ha appena collaborato su un progetto in Germania. Hanno ospitato maestri come Gigi Masin o Jan Jelinek. Negli insight del loro profilo instagram compare anche una sezione Podcast, dove gli invitati dialogano sui temi del progetto. Insomma, chi più ne ha più ne metta.

Antropofagi del mondo unitevi!

Spork, by Lucas Thaler

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