DAFNE BOGGERI: PASSATO, PRESENTE, FUTURO

Un’intervista a una persona che ci vede e ci segue da tanti anni, senza sapere che noi la seguivamo da ancora prima che Ptwschool nascesse. Dafne Boggeri oggi è la curatrice di SPRINT, il festival dell’editoria indipendente più importante (e credibile) d’Italia.

Con Dafne ci siamo visti un pomeriggio di qualche giorno fa, in zona Paolo Sarpi, vicino a dove abita. Abbiamo pranzato insieme e successivamente camminato verso quei grattacieli mostruosi in zona Garibaldi, che per esplicita richiesta dell’intervistata non abbiamo voluto fotografare. Attorno a noi una Milano che è cambiata in fretta, sempre più frenetica, palazzi e invasioni architettoniche apparse dall’oggi al domani come in una simulazione virtuale. Abbiamo dato questo titolo all’intervista: “passato, presente, futuro”, perché Dafne è una donna che ha attraversato le varie ere di questa città, come writer, come artista, come membro di importanti redazioni, come attivista, come parte di collettivi queer e da sei anni anche come curatrice di una realtà importante come SPRINT, dal 2018 in uno spazio nuovo di 1000mq, Spazio maiocchi (co-fondato da Slam Jam e Carhartt WIP), che ha permesso a questa sesta edizione del festival di editoria indipendente di crescere e di iniziare a pensare al futuro.

Ciao Dafne, iniziamo l’intervista ricordando l’era splendida dei graffiti. Noi eravamo adolescenti quando guardavamo le foto dei tuoi treni su Aelle e anche tu eri molto giovane. Oggi non si parla spesso pubblicamente di questo tuo “passato”, ma in un certo senso quella è stata la tua prima forma di attivismo o sbaglio? Perché hai iniziato e perché a un certo punto hai sentito l’esigenza di smettere?

Una notte del 1990, guardando la televisione, sono casualmente capitata su Rete 4 che trasmetteva in prima visione il film Wilde Style (1983, Charlie Ahearn). All’epoca avevo già un piccolo archivio di immagini di street writing che recuperavo da riviste di vario genere (nessuna esclusa, credo ci fossero ritagli anche da Donna Moderna) senza pensare che un giorno mi sarei dedicata a quella pratica. Vedere le scene del film in cui i protagonisti erano in azione, i gesti, l’attitudine, i rituali, mi ha fatto scattare il desiderio di ripetere quei movimenti e di avvicinarmi a quella cultura. Sono una persona estremamente visiva e vedere quelle immagini è stato come avere la chiave d’accesso ad un mondo che prima consideravo impenetrabile.

Dalla sera successiva ho iniziato a dipingere con gli spray, soprattutto treni. In quell’occasione ho sentito la necessità di informare mia madre, Marika Rock, persona molto speciale, che sarei andata da sola, in bicicletta, nella yard di un paesello limitrofo al mio. Lei pensava che, oltre ad essere il mio primo treno, sarebbe stato anche l’ultimo, così, invece di ostacolarmi, ha proposto di accompagnarmi in auto, gesto che ho estremamente apprezzato, ma di cui poi lei si è subito pentita. Per i successivi 10 anni ho letto nel suo sguardo severo l’espressione di una dolce e netta disapprovazione.

Ho iniziato a dipingere a 15 anni, in quella fase della vita dove non vedi l’orizzonte del futuro futuro e vorresti avere la gomma magica per cancellare il passato, ed immergermi nella notte per disegnare con il corpo mi è sembrata la migliore tattica di sopravvivenza.

Questo è stato l’inizio, ma non lo definirei “attivismo”, è stata la rivendicazione di una libertà d’espressione del tutto personale, che ognuno di noi si “conquistava” senza una controparte di responsabilità nel messaggio/confronto sociale. Se penso al ruolo di “attivismo” rispetto a quel periodo credo che potrebbe esserci stato dall’interno, nei confronti della cultura Hip-Hop stessa: in quanto writer, donna, lesbica, la pressione sociale/di genere era evidente ed in Italia eravamo in pochissime ad attutirne l’impatto, penso ad ONIS 135 di Vicenza e a ROSE di Rimini.

Tanti writer anni ’90 ora sono anche artisti, a Milano oltre a te mi vengono in mente Ivano Atzori, Sha Ribeiro, Luca Barcellona, ognuno con il suo percorso di ricerca di se stesso, a volte totalmente slegato da ciò che era scrivere su dei muri, ma in un certo senso sempre connessi con la strada. A te, come artista in primis, ma anche come curatrice cos’è rimasto di questa attitudine?

Vorrei chiarire che l’aspetto curatoriale è parte della mia pratica artistica, con tutti i pregi e le lacune che questa posizione comporta. L’esperienza del writing, legato alla cultura Hip-Hop, ha rappresentato un momento di formazione fondamentale: la ricerca di risorse anche dalle fonti più inaspettate, la confidenza nell’istinto, la consapevolezza dello sguardo nel contesto urbano/architettonico, il corpo come strumento, l’idea di comunità, della potenzialità e della rilevanza delle minoranze di qualsiasi genere, sono tutti aspetti che porto nel mio “zainetto” umano e professionale.

Hai mai considerato la tua arte e le tue opere come parte di un movimento artistico particolare e qual è stato il tuo progetto più importante?

Ci sono artiste e artisti che ammiro, con le quali ho la fortuna di condividere idee e collaborazioni, come ad esempio Camilla Candida Donzella, ma non mi considero parte di un movimento, credo di appartenere ad una generazione di “gatte sciolte”.
Rispetto ai progetti, quello di LIANE~LINEA~ALIEN (lianelineaalien.xyz — 2017), curato da Giulia Tognon, per Marsèlleria, è stato uno dei più complessi e riusciti. Sono state coinvolte tre locations, all’inaugurazione, nella sede di Marsèlleria in via Rezia si è svolta anche la performance in collaborazione con il gruppo di Glasgow Stasis (Aniela Piasecka, Olivia Norris, Isabel Palmstierna, Paloma Proudfoot) e per il finissage, nella sede di via Paullo abbiamo dato vita a PAAUW, maratona musicale dal tramonto a notte fonda con Hazina Francia, Elena Radice, TISANA (formazione fondata con Isamit Morale, Adele H) e Babakoto (Leila Gharib). Nella mostra principale c’erano vari lavori, sculture, tracce di aneddoti, una serie di fotografie, un video e una serie di poster che il pubblico poteva conservare.

Oltre alle due sedi di Marsèlleria è stato coinvolto anche il Cinema Beltrade con BLACK MARIA CINEMA. Le proiezioni di Born in Flames (Lizzi Borden, 1983), il documentario visionario di Fabrizio Terranova Donna Haraway: Story Telling for Earthly Survival (2016) e un video della stessa filosofa femminista, americana Donna Haraway Reads The National Geographic on Primates (1987), si sono affiancati ad un’installazione site-specific per il campo da basket adiacente al cinema, mentre nella zona bar veniva servito Dry Eye, un cocktail dalla formula segreta con un ingrediente particolare: il sottofondo del dj set dell’artista Maria Guggenbichler, illuminata dalla scritta al neon RADIO RAGAZZA, disegnata dalla graphic designer Kaisa Lassinaro in omaggio al film Born in Flames. Una concatenazione di opere a cascata in cui molti degli anelli sono stati rappresentati da importanti collaborazioni. Nel contesto della mostra mi è anche capitato di curare RAGGIO FOTONICO, workshop per bambini che si è rivelato sorprendente, nulla della traccia che avevo preparato si è realizzata, dopo cinque minuti ho capito che solo il ‘free-style’ avrebbe potuto rendere efficace, per tutti, quell’esperienza, con la complicità di un raggio laser e di una giacca catarifrangente.

Per essere artisti occorre studiare e vivere esperienze, ma anche avere a che fare con un sistema complesso e talvolta ambiguo come il cosiddetto “mondo dell’arte”. Connessioni, public relations, segnalazioni e raccomandazioni sono solo alcuni degli aspetti da considerare se si vuole entrare in un circuito elitario come quello delle residenze artistiche e delle esposizioni nelle gallerie più importanti italiane ed europee. Quali sono secondo te le differenze tra Italia e Europa sotto questo punto di vista?

Credo che l’Italia soffra di un sistema disarticolato in balia di un sentimento di imbarazzo nel relazionarsi alla ricerca contemporanea. Si sente la mancanza di un sistema organico, vitale ed ecosostenibile. Penso alle residenze per artisti e curatori, ai fondi per realizzare progetti in Italia e all’estero (per artisti italiani), ad agevolazioni locali per ottenere spazi dove sperimentare (studi/artist’s run space), a progetti pubblici che coinvolgano collaborazioni attuali. Ci sono territori che hanno uno sguardo più sensibile su quello che è il patrimonio/ matrimonio rispetto all’arte contemporanea, come Francia, Olanda e Germania, che hanno programmi per valorizzare la produzione artistica in ogni suo aspetto, anche intergenerazionale, e che generano un’economia anche al di fuori del collezionismo privato: attraverso archivi, centri d’arte pubblici, progetti legati alle comunità locali. Penso ad esempio il sistema olandese dei Mondriaan Fonds che supporta ogni anno molti progetti, al circuito delle Kunsthall tedesche che offre un network di spazi fisici dove poter realizzare mostre ed incontri su tutto il territorio, o alle acquisizioni pubbliche che realizza il circuito francese dei FRAC.

Consideriamo il presente come momento in cui decidi di intraprendere questa nuova avventura che è SPRINT. È la classica domanda: come è iniziato tutto?

Nel 2012 Sara Serighelli, direttrice di O’, mi ha chiesto di pensare ad un progetto che si potesse svolgere nella durata di un mese. La mia proposta è stata di spezzare l’invito producendo 13 appuntamenti per ognuna delle lune piene dell’anno. Il penultimo episodio di Full Moon Saloon #12 è stato incentrato sull’editoria indipendente e d’artista EDIZIONI STRAORDINARIE – diventando il preambolo inconsapevole di quello che poi, in modo molto spontaneo, si sarebbe realizzato nel 2013 con la prima edizione di SPRINT.

Quali sono stati i tuoi riferimenti, come festival / situazione, e invece in cosa vi siete voluti distinguere?

L’esperienza del 2008 della Zürcher Zine Sezession, organizzato da Nieves and Rollo Press a Zurigo è stata di grande ispirazione. Oltre ad aver rischiato la vita per assideramento, in macchina con Camilla Candida Donzella, nel mezzo di qualche improbabile passo fra le Alpi, aver vissuto l’energia e l’attitudine di quella manifestazione, ospitata nell’artist’s run space Perla-Mode, è stato fondamentale per le basi sulle quali è nato SPRINT.

In generale proviamo grande affinità con quelle manifestazioni che cercano di offrire un programma di ricerca e sperimentazione in modo etico e stimolante, alimentando quella biodiversità culturale che è fondamentale in ogni scena artistica.

L’inaugurazione di SPRINT è ancora da O’, questo venerdì, e quest’anno ci sarà la mostra di Guadalupe Rosales. Vuoi anticiparci qualcosa su di lei e sulla sua esposizione? Siamo molto curiosi.

Guadalupe Rosales è un’artista/archivista di Los Angeles che presenterà, per la prima volta in Europa, i due progetti Map Pointz, sulla scena Latinx Rave anni ’90 della East Coast, e Veteranas and Rucas sulla comunità Chicanx. Il suo lavoro si esprime attraverso la raccolta, catalogazione, conservazione e ricombinazione di tutti quei documenti visivi (fotografie/video/oggetti) e sonori (tracce audio) che contribuiscono ad alimentare l’immaginario reale e fantastico della comunità Latina californiana, con una particolare attenzione per l’auto-rappresentazione, il ruolo della donna e la sua emancipazione. Le installazioni che Guadalupe crea sono momenti immersivi in cui l’intensità dei riferimenti e della memoria collettiva affiorano come un soffio diffuso nello spazio. L’inaugurazione della mostra ENDLESS NIGHTS ~ MAPPING THE CITY OF LOS ANGELES THROUGH A COLLECTIVE MEMORY, nella sede dell’associazione non profit O’ (via Pastrengo 12), dalle 18 alle 22, sarà anche l’occasione per consultare il libro Map Pointz – A Collective Memory, pubblicato dall’artista per Little Big Man.

Il volume si potrà acquistare sabato 24 e domenica 25, dalle 13 alle 14, nel contesto della fiera non-profit, a Spazio Maiocchi, luogo che ospiterà anche un billboard extra, di 6x3m con un’immagine realizzata dall’artista. Mentre Sabato, dalle 18 alle 19, ci sarà una Talk in cui Guadalupe parlerà di tutti gli aspetti della sua ricerca. Qui un estratto preview, dal testo che accompagnerà la mostra, scritto da Guadalupe:

“I wanted to share a few words and express my gratitude for you all. What I enjoy and appreciate most about the work I do is that I get to listen, read and share people’s stories and photos. We all get to reminisce together and sometimes talk about very personal stuff and keep it real. This project however, is not just to share or reminisce or take you back, it is also about empowering women, rethink our history and collectively document/archive stories and photos of communities that are vulnerable to erasure or misrepresentation. Your stories and photos are important…”

Come spiegheresti, a chi non ci crede, il concetto e la filosofia di non-profit? A parte i volontari che per 3 giorni si fanno il c**o, il resto non arriva gratis: gli artisti ospiti, le strutture, e molto più burocraticamente le assicurazioni per un evento pubblico in regola, come fate a gestire tutto e allo stesso tempo mantenere la vostra credibilità e sostenibilità?

In questi sei anni con SPRINT abbiamo costruito un percorso che da subito ha avuto delle tracce chiare: ingresso gratuito per il pubblico alla maggior parte degli eventi (esclusi alcuni workshop e la festa di fundraising), un Public Program di performance, display, talk, screening, reading che affianca la dimensione della fiera, l’accesso su invito per artisti/publishers coinvolti nella fiera senza nessuna richiesta di affitto per lo spazio che mettiamo a loro disposizione. Per realizzare questa avventura abbiamo incontrato, in questi anni, dei complici fondamentali come: l’Istituto Svizzero, il Goethe Institute, Foon n the Hood, Graphidea, Marsèll, Pijama, Pixartprinting. Ma siamo sempre alla ricerca di nuove realtà che vogliano sostenere il nostro percorso con la consapevolezza di volerlo rispettare.

È un delicato gioco di equilibri in cui cerchiamo di conservare la lucidità, aiutate dal lavoro di tutti i volontari che rendono possibile ogni edizione.

Da oggi che siete in un nuovo spazio, Spazio Maiocchi, insieme a Slam Jam & Carhartt WIP, cos’è cambiato rispetto a prima, sia lato organizzativo che artistico?

La collaborazione con Spazio Maiocchi è stata un passaggio naturale, abbiamo sempre percepito grande sintonia con i progetti che ha ospitato e non avevamo dubbi che ci sarebbe stato un grande rispetto della visione di SPRINT. L’opportunità di realizzare questa confluenza ci ha permesso di crescere in termini di spazio, coinvolgendo più realtà, e in termini di risorse da investire nei contenuti, requisito fondamentale se si vuole puntare a creare collisioni sempre più sperimentali e articolate. Le basi di SPRINT sono rimaste identiche ma abbiamo cercato di coinvolgere più persone per aiutarci a realizzare ogni passaggio del progetto che si è amplificato. Petra Rocca è l’artista che si occupa del coordinamento volontari, Elena Radice assiste il workshop di Risograph ed insieme ad Enrico Boccioletti cura la documentazione fotografica/video, la giovane curatrice Sara Tortolato ci affianca a 360° gradi, mentre Piera Cristiani si occupa dei contatti stampa, e poi ci sono preziosi ‘sguardi satellite’ che ci danno quel senso di realtà che ogni tanto si perde nella rincorsa senza freni avvicinandosi alle date bollenti.

Come abbiamo accennato nell’introduzione di questa intervista, avere uno nuovo spazio disponibile, più grande rispetto a O’, vi permette non solo di avere più metri quadri a disposizione e stare più comodi, ma anche di aumentare il raggio d’azione delle vostre idee, non è così? Cosa hai in mente per il futuro di SPRINT?

Ci piace l’idea che il pubblico affezionato di SPRINT possa intersecare quello di Spazio Maiocchi creando una situazione che immaginiamo possa essere descritta come sismica in quanto livello energetico. Vorremmo riuscire a mischiare mondi e paesaggi interiori per dare origine a nuove configurazioni umane e artistiche.
Per il futuro pensiamo a progetti che possano dare delle possibilità sempre più ampie e concrete di produzione artistica, oltre a quelle che già realizziamo con la rassegna BLADE—BANNER, che ogni anno coinvolge sei artisti italiani e il POSTER—CATALOGO la cui immagine viene commissionata ad-hoc per ogni edizione.
Una residenza, la possibilità aumentare i mezzi per la ricerca, collaborare con La Settimana Enigmistica sono alcune delle cose che vorremmo realizzare.

A volte pensiamo all’editoria, in particolare quella indipendente, come una disciplina che unisce informazione e arte producendo copie stampate su carta, a tiratura più o meno limitata. Libri, magazine, fanzine, poster: la carta ha sicuramente un costo, e anche un impatto sull’ambiente. Nella tua visione attuale qual è il futuro dell’editoria e quali sono i publisher presenti a SPRINT quest’anno che si avvicinano a un’idea di editoria del domani?

Penso che il futuro sarà di contaminazione consapevole, che sempre di più il rigore di un’idea possa essere declinata in formati diversi ma anche in sformati differenti, rigorosa elasticità. Ci piacerebbe poter trovare le risorse per realizzare residenze in cui coinvolgere artisti e ricercatori su tematiche legate all’arte e all’editoria; poter inaugurare un archivio di materiale rendendolo consultabile pubblicamente e lavorare su archivi esistenti; alimentare sempre di più l’aspetto di sostegno e produzione artistica commissionando progetti ad-hoc.
Qui tre esempi, inversamente comunicanti fra loro, ospitati da SPRINT:
ARCHIVIO MAGAZINE (archiviomagazine.com – Torino): eccezionale formula di come si possa far coincidere ricerca e promozione.
SELFPLEASUREPUBLISHING (Milano): progetto editoriale/performativo dell’artista Jacopo Miliani.
5.02.2.01 (cargocollective.com/502201 – Berlino): piattaforma on line che si definisce The Anti-Magazine.

Fino all’anno scorso hai avuto modo di lavorare, per anni, in una vera e propria redazione dove, ogni mese, c’è da produrre il numero nuovo di un magazine nazionale e allo stesso tempo, ogni giorno, c’è da curare la pubblicazione di nuovi articoli online. Alcune testate stanno resistendo e sono state capaci di rinnovarsi, altre stanno intraprendendo un lento percorso di declino. Ora che hai messo un piede fuori da questo mondo qual è il consiglio che daresti a il direttore di un nuovo magazine?

Avere una visione, che spesso coincide con una passione, che a volte coincide con un budget.

SPRINT—Independent Publishers and Artists’ Books Salon Milano 18

Foto & intervista: RFM
Special thanks: SPRINT – sprintmilano.org

COLLISIONI: NADA (NIENTE)WEEKEND MIXTAPE #32: YOSEPHINE MELFI
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