Interview + Podcast: Jacopo Lega, Habitat è una residenza ultra-territoriale

A distanza di poco circa due mesi dalla chiusura del primo capitolo di Habitat, ma a pochi giorni dall’uscita del comunicato ufficiale sul futuro di Habitat, pubblichiamo oggi, come throwback estivo, questa lunga intervista e podcast a Jacopo Lega, fondatore, curatore e creatore di situazioni leggendarie c/o Habitat.

Ascolta il podcast su Spotify:

Opening track: Ayce Bio – Jazz Affair (Funclab Records)

Intervista e immagini © Riccardo Fantoni Montana, Ptwschool

Habitat è una residenza ultra-territoriale e laboratorio collettivo per la riattivazione culturale delle aree rurali della Romagnae Toscana, si è tenuto sulle montagne di Tredozio (FC) nella struttura di un-ex agriturismo dal 24 Luglio al 28 Agosto scorso. Ptwschool ha partecipato come media partner e creatore di contenuti fotografici e di documentazione live con le fotografie di Riccardo Fantoni Montana @riccardo.fm e Chiara Carminati @gaestinaturen. L’intervista che andrete tra poco a leggere e/o ascoltare è una chiacchierata tra Riccardo e Jacopo Lega che si è tenuta verso gli ultimi giorni della residenza all’ombra del portico della struttura che ha ospitato questo bellissimo progetto. Era il 20 Agosto e le cicale creavano il giusto tappeto sonoro che ha fatto da sfondo per questa lunga conversazione.

Ciao a tutti, siamo con Jacopo Lega a Tredozio, ci troviamo nelle montagne romagnole al confine tra Romagna e Toscana, in un bellissimo borghetto che Jacopo, insieme all’associazione culturale Distretto A, è riuscito a trovare per stabilire questa residenza artistica e laboratorio multidisciplinare. Benvenuto Jacopo.

Ci troviamo qui ormai da diversi giorni e stiamo assorbendo sempre di più le vibrazioni e le energie positive presenti in questo posto e siamo molto contenti di arrivare oggi a fare questa intervista. Purtroppo ci stiamo avvicinando verso la fine di questa esperienza, ma almeno abbiamo già diverse da raccontare.

Ciao e grazie per questa importante e bellissima opportunità di racconto e narrazione. Io sono Jacopo Lega, il fondatore informale – ma anche formale in qualche modo – di Habitat, un progetto di residenze e laboratori collettivi ultra-territoriali che ha l’obiettivo di raccogliere, re-interpretare e rielaborare l’importante eredità micro-territoriale di queste zone, e più in generale delle zone sub-urbane e rurali della nostra penisola.

Siamo partiti da Tredozio in un contesto casalingo, già collegato emotivamente, ma anche funzionalmente alla città da cui vengo, Faenza, da cui mi sono allontanato, negli ultimi anni, per ragioni di studio, ma che a un certo punto ho sentito il bisogno di riavvicinare iniziando a mettere le fondamenta per un progetto, Habitat, che vuole iniziare da qui per continuare il proprio percorso su questo territorio.

Il territorio circostante offre dei luoghi stupendi, ma ricordiamo per chi ci ascolta che stai frequentando un master di editoria sperimentale a Rotterda, un’esperienza che sicuramente ti ha dato un grosso input a creare il progetto Habitat. Ma non solo, vieni anche tutta l’esperienza fatta con Amphibia, il micro-publishing, il publishing indipendente, ma facendo un passo indietro vorrei chiederti: come sei arrivato al nome di questo progetto? Mi dicevi che oltre a richiamare il tuo Habitat, cioè i tuoi luoghi, esiste anche un’origine più profonda, è così?

Sì, la folgorazione è arrivata da un libro, uno dei tanti comprati durante il lockdown e che si sono accumulati nel tempo sul comodino. È uno di quei libri che a un certo punto decidono loro quando devi iniziarli. Questo libro è Global Tools, pubblicato da NERO Editions qualche anno fa. Parla dell’esperienza radicale di alcuni gruppi di architetti degli anni ’70 (anzi, a partire dagli anni ‘60, subito dopo il ‘68 e i moti studenteschi) che non fiduciosi della struttura classica universitaria, dell’insegnamento e della sua capacità di trasmettere competenze, hanno pensato di raccogliere persone dal mondo del design e dell’architettura, di base, ma non solo, per mescolare queste competenze in un ambiente spontaneo che suscitasse in qualche modo il ricircolo e lo scambio di percorsi e soprattutto di strumenti.

La parola “Habitat” è venuta fuori da una di queste sessioni di lettura e mi ha subito colpito, si è fermata lì e anche io mi sono dovuto fermare un attimo a pensare perché era una parola che mi rimandava a più tematiche.

1) L’idea dell’habitat inteso nel senso più scientifico: tutte quelle condizioni della fauna e della flora che costituiscono un piccolo sistema a sé, funzionale, che con l’insieme di tutti i suoi elementi si ha la capacità di convivere e di aiutarsi in base alle singole esigenze di ognuno.

2) Habitat inteso più culturalmente: quella sfera o quelle bolle che questi villaggi e questi borghi costituiscono in quanto risultato di una stratificazione di anni e anni, centinaia di anni, secoli, di influenze culturali, sociali, architettoniche insieme alle influenze derivanti dal paesaggio e dall’ambiente naturale. Quindi con l’idea e il presupposto di capire gli habitat di questi borghi, con l’intenzione di proteggerli e non farli chiudere in sé stessi.

Per questo che ci siamo avvalsi di una squadra di persone fantastiche che sono riuscite in maniera sorprendente a captare e ributtare fuori con energia tutti gli input che questo territorio ci ha dato. Quindi “habitat” inteso anche come ambiente domestico e di lavoro, un ambiente che ti ispira e a cui restituisci ciò che in qualche modo hai preso.

Sicuramente il vostro intento è molto nobile, per riuscirci però bisogna andare a dialogare con le istituzioni, rispondere a delle esigenze burocratiche fondamentali per mettere in piedi una cosa che non venga percepita all’esterno come “centro sociale” o qualcosa di “anarchico”. Un progetto che sia accettato anche da chi è lontano da un ambiente creativo come il nostro.

Perciò vorrei capire quali sono le dinamiche che ti hanno permesso di mettere in piedi una situazione così. Che dinamiche hai seguito?

Questa è una domanda che offre uno spunto interessante e importante, perché in tanti, in questa tendenza generale di spostarsi dalla città alla campagna, si stanno attivando cercando di capire come si possa costruire o ripensare i termini e il concetto di benessere nella vita. Ci stiamo rendendo conto che a volte non tutto è ascrivibile ai confini della città, anzi, quello che la città ci offre rischia di influenzare negativamente i nostri ritmi e le nostre emotività.

Habitat nasce con l’intenzione di creare un centro culturale, ma siccome per ogni progetto serio – o che cerca di essere serio – c’è bisogno di un supporto e di una struttura che ti permetta di lavorare serenamente, non solo con le tue finanze, a marzo, insieme a Distretto A (associazione culturale che lavora da più di 10 anni a Faenza e sul territorio con eventi di arte e enogastronomia), abbiamo presentato questo progetto a cui stavo lavorando già da tempo. Prima ispirandomi a Global Tools, poi anche da tutto il discorso sull’architettura e design sociale, pensando a tutti quei meccanismi di ingegneria sociale che si possono instaurare all’interno di un circolo virtuoso di persone e competenze specifiche riunite nello stesso luogo.

Nonostante il finanziamento modesto, muovendoci insieme a Distretto A siamo riusciti a trovare questa struttura che era inattiva da 7 anni. Aveva funzionato recentemente come agriturismo, ma versava in una condizione di pseudo-abbandono già da tempo. Quando a maggio ci hanno comunicato della vittoria di questo piccolo bando ci siamo subito attivati e aver trovato questo posto ha permesso di ridimensionare e ritarare il progetto, dandoci la possibilità di ospitare molti più artisti e persone che avevamo previsto inizialmente.

Apro una parentesi: i finanziamenti, come succede sempre qui in Italia, arrivano sempre dopo che i soldi li hai spesi. A questo proposito ci vorrebbe un discorso a parte da lanciare alle istituzioni, ovvero facilitare ancora di più i processi creativi e le strategie culturali per far sì che non sempre tutto sia a carico delle persone che decidono di mettersi in gioco rischiando, e dare quelle sicurezze fondamentali su cui far partire un progetto.

Per questo ringraziamo la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì che ha creduto da subito nel progetto e con la quale si è pensato a un piano strutturato nei prossimi anni, a medio-lungo termine, proseguendo questa collaborazione, con l’intenzione di intercettare lungo la strada privati e piccole aziende locali come Alpi (con sede a Modigliana, ndr) che quest’anno, ad esempio, ha deciso di supportarci in termini di materiale con il Reclaimed Wood, utilizzato durante questo mese da tantissime dalle più disparate diverse figure passate da qui.

Vorrei chiederti ora una overview delle persone che sono passate da qui in questi giorni. Su quali discipline ti sei concentrato facendo la call delle persone? Abbiamo visto artisti, designer, persone che lavorano nell’ambito del sociale, musicisti, editori, micro-editori, fotografi, e così via. Mi confermi che non c’è una regola, bensì un’attitudine che spinge le persone a partecipare e ad essere invitate?

Come dicevo prima, Habitat è partito nel momento in cui ci hanno comunicato la vincita di questo bando, a metà maggio scorso. Con questa tempistica non c’erano i termini per impostare delle open-call o dei bandi con un sistema di premio o di fee per gli artisti che si sarebbero potuti raggiungere con call mirate.

Essendo questo anche un “test-press” per noi, ci siamo avvalsi di tutte quelle figure che ho incontrato spontaneamente durante il mio percorso personale. Quindi non tanto con dei criteri legati a tematiche o strumenti utilizzati, sarebbe riduttivo. Come hai detto tu esattamente, si tratta più di avere un’attitudine, si tratta di voler contribuire a un meccanismo sociale che unisce gruppi, collettivi, ma anche singoli, e persino sconosciuti che abbiamo incontrato durante la strada che ci hanno scritto curiosi chiedendoci di partecipare.

In questa mescolanza eterogenea di figure e di competenze, abbiamo creduto soprattutto nella spontaneità data dai meccanismi instaurati nello stare insieme, ma anche nella spontaneità di vivere delle esperienze in sé, vivere la residenza con i suoi ritmi, con tutti gli spunti che quotidianamente, in maniera sorprendente questa ci ha dato.

Sai, non ricordo un singolo giorno che non ci sia stato qualcuno che abbia fatto 3-4 cose diverse:

dalle performance musicali – anche chi da semplice curioso è venuto a premere due tasti sul sintetizzatore – fino alle performance culinarie, i panzerotti di Poni, le sessioni di piadine e tagliatelle, ecc.; ho osservato tutti da occhio esterno, ma anche come occhio con cui confrontarsi e confidarsi, senza mai interferire con il processo creativo, ma ho visto queste persone spesso distaccarsi dalle loro pratiche usuali per abbracciare pratiche più manuali, concrete: il taglio del legno, la raccolta dei materiali di scarto, l’assemblaggio di pezzi materici, la pittura, le vernici, la serigrafia, lo sviluppo in camera oscura. Abbiamo cercato di costruire una struttura che permettesse agli artisti e alle persone di passaggio di avere strumenti e spazi con cui interagire con il paesaggio e il contesto.

Devo dire che con la collaborazione dei comuni e il patrocinio dei comuni di Tredozio, Rocca San Casciano, Portico e San Benedetto che da subito si sono dimostrati entusiasti del progetto si sia instaurato un bellissimo rapporto reciproco di collaborazione in cui loro hanno aperto la loro cartella di possibilità, ce le hanno messe a completa disposizione, e noi abbiamo selezionato una location per ciascun borgo proprio per presentare, come a scandire la residenza, i progetti e i processi che durante le settimane precedenti venivano elaborati.

Per questo abbiamo ideato questo programma di eventi Contatto, con l’idea di andarsi a inserire contestualmente ogni volta in uno di questi borghi per restituire i processi creativi che hanno visto coinvolti reciprocamente artisti e territorio.

Sì, il territorio è sicuramente co-protagonista di quanto succede. I quattro eventi CONTATTO sono stati effettivamente il teatro dove andava in scena quello che succedeva durante la settimana. Dalla live performance al Vulcano di Monte Busca, agli altri interventi nell’abbazia di San Benedetto in Alpe, San Donnino, alla Rocca, a Torre Portinari a Portico. È stato bello vedere persone e passanti che si incuriosivano e anche io da esterno ho percepito molto entusiasmo, non solo nelle istituzioni che, come hai detto, hanno aperto le loro porte, i loro luoghi, a dei giovani ragazzi che facevano delle cose molto distanti dal loro modo di intendere la cultura. Secondo me è stato veramente un fattore chiave il fatto di aver raggiunto delle persone in questi posti e lontani dai nostri mondi e vedere le loro reazioni positive.

Ciò mi fa ben sperare su quello che potrà accedere in futuro, anche perché questi luoghi sono stati scelti in quanto luoghi che nel turismo oggi vengono ancora un po’ sottovalutati, a differenza della Toscana che è qui a pochi chilometri.

Assolutamente sì, penso anche che il territorio e queste location che abbiamo selezionato siano in qualche modo portatrici di valori pregni di culture locali abbiano simbolizzano quello che è stato il percorso che abbiamo fatto qui ad Habitat in termini di workshop e laboratori proposti al pubblico.

Sempre con questa intenzione di rielaborare l’heritage territoriale e culturale del luogo, collegandomi a quello che dicevi tu, che rispetto a una Toscana che ha lavorato per anni e anni per un turismo diventato quasi di “massa”, in questo angolo sperduto di quello che era una volta la Toscana, ma che ora è Romagna, si è conservato e preservato l’autenticità e spontaneità e la genuinità di un posto che non ha subito l’influenza o l’aggressione di un turismo mordi e fuggi, ma che lavora più sulla costruzione di rapporti sociali, magari su seconde case, ospiti che sono qui durante l’estate per periodi un po’ più lunghi, esattamente come sta succedendo a noi.

A proposito di quanto appena detto, per esempio, abbiamo deciso di mettere in programma il workshop della stampa con la ruggine perché è esattamente parte di quella narrazione ultra-territoriale che abbiamo deciso di avviare coinvolgendo tante altre piccole realtà locali, chiamate ad interagire con artisti, pubblico, territorio che si sono poi tradotte in progetti e piccoli elaborati presentati durante gli eventi.

Esattamente, quello delle stampe con la ruggine è stato un altro esempio di come si possano riportare in vita usanze a noi (ma non da loro) dimenticate. Vuoi parlarci meglio di questi workshop – sempre molto inclusivi e senza nessun requisito particolare per partecipare – che si sono tenuti ad Habitat?

I laboratori hanno fatto parte in maniera sostanziosa di tutto quello che è stato il programma di eventi pubblici di Habitat.

Partendo dal presupposto che la residenza, con il suo potere stregante di attrarre persone e di farcele rimanere, in questo mese ha funzionato un po’ come “porto di montagna” sia per i residenti che per i curiosi e i viandanti che ci scrivevano e decidendo di venirci a salutare, oltre a questa apertura pubblica delle nostre porte, allo stesso tempo è stato importante strutturare un piano di laboratori che andassero ad includere e far interagire proprio quelle realtà locali con cui è fondamentale lavorare per fare in modo di iniziare a costruire quella rete di persone e attività locali in modo da poter inserire tutti in questo circolo virtuoso che è quello di Habitat.

Per far sì che ognuno, all’interno di questo ecosistema, possa godere dei benefici di questo progetto, partendo dal più grande obiettivo, quello di tracciare nuove traiettorie culturali, fino ad arrivare, con più lungimiranza, a cercare di combattere lo spopolamento di queste aree. Quindi siamo andati a pescare tra Faenza, Bologna, Forlì e Ravenna degli stampatori locali o semplicemente dei produttori e ogni settimana abbiamo proposto almeno un workshop.

Il primo è stato quello con Parasite 2.0, Marchiare la Materia, che ci ha permesso di imparare le tecniche di lavorazione dei metalli. Abbiamo così creato dei timbri che sono stati usati in maniera completamente congiunta con il territorio: scaldandoli sul Vulcano di Monte Busca, marchiando le figure antropomorfe ritagliate sui legni di Alpi Wood, realizzando così una scenografia attorno al vulcano che il giorno è diventato del live di Giargo in Arte e Sunbernardo.

Oltre a Marchiare la Materia, abbiamo avuto il workshop di rugs-making, che si è concluso ieri: Tappeti per il Paesaggio, curato da Morbido, che ha permesso ai partecipanti di realizzare dei tappeti con la Tufting Machine, invitando prima a esplorare i dintorni della residenza per derivare alcune forme elementari, alcuni spunti che sono poi andati a trasformarsi in un tappeto.

Oltre a questo, come dicevo prima, c’è stato il workshop della stampa alla ruggine che secondo me è stato l’emblema del rapporto tra tradizione e contemporaneità, proprio perché anche chi non conosceva la tecnica si è buttato e, spoglio da ogni preconcetto, ha iniziato a seguire più che in ogni altro momento la spontaneità facendo quello che questi strumenti suggerivano di fare.

Oltre a questo, Contatti Sonori con Holly Spleef, che grazie ai contatti elettromagnetici, la vernice elettromagnetica e le verdure, collegate a degli strumenti midi, abbiamo assistito alla composizione di piccoli paesaggi sonori.

Questo come diciamo un accenno di tutto quello che abbiamo fatto.

Abbiamo avuto anche il laboratorio di serigrafia con Grezz Press che purtroppo per un problema tecnico – perché anche quelli succedono dobbiamo tenerne conto – non è riuscito a proseguire. Ci sono stati problemi di essiccatura dell’inchiostro e sono stati distrutti due telai, tappandoli, ma anche in questo caso, il problema si è trasformato in una rivisitazione della tecnica stessa lavorando con tutte le texture e i pattern creati dall’avere eliminato in alcuni punti l’inchiostro che tappava il retino. Così, alla fine, abbiamo giocato con tutte le limitazioni del caso cercando di trarne beneficio.

Come attitudine generale alla vita, qui in residenza, siamo stati anche tre giorni senza l’acqua, ma nessuno alla fine si è scomposto, siamo riusciti in maniera biodinamica a reintegrarci tranquillamente e a proseguire con tutte le nostre attività senza battere ciglio.

Siamo diventati come le piante che affondano solo di più le radici per cercare l’acqua ancora più in profondità

Esatto, ci siamo solo radicati di più.

Capiamo che allontanandoci dalla città e a quello che si dà per scontato ci si catapulta in una dimensione che invece è fatta di disponibilità e strumenti limitati. E come credo anche per il processo di molti creativi o anche come me con la mia base da grafico, penso che muovendoci tra dei paletti e tra le limitazioni si riesca poi sempre a trovare la via più ingegnosa e creativa per arrivare a una soluzione.

Credits: Habitat in Ceramica di Eleonora Bartolini @eleo_cose + Tavolino: Gruppo Grezz @gruppogrezz

Questo tuo racconto sui workshop è veramente molto interessante, perché secondo me ha permesso di vivere delle esperienze molto fighe con i suoi pro e pochissimi contro, nel senso che a volte succedono degli errori tecnici che vengono trasformati in nuove opportunità, ma a proposito di questo, penso che chiunque sia passato di qua avrebbe potuto tenere un workshop su qualcosa.

Ma oltre ai workshop c’è anche il progetto di Habitat Radio. In queste settimane, di tanto in tanto, davanti a un tavolo, con un mixer e dei cd-j e un microfono venivano registrate delle bellissime interviste condotte insieme al tuo collega Enrico Tarò, anche lui molto bravo a presentare, introdurre e raccontare.

Da spettatore devo dirti che ho assistito ad diversi momenti di racconto molto interessanti, grazie al format Parole e Taralli (ascolta qui la nostra puntata come Ptwschool, ndr). Come possiamo ascoltare questa radio e qual è media plan delle uscite dopo Habitat?

Innanzitutto devo dire che tutto questo senza Ilaria di Morbido ed Enrico sarebbe stato difficilmente andato con questa fluidità e con questa spontaneità. Devo ringraziare il mio braccio destro e sinistro, perché senza di loro Habitat avrebbe sicuramente avuto un gusto diverso.

Ora, con il termine di Habitat come residenza fisica dalla base di Ca’ Dei Monti, si sta aprendo un capitolo nuovo. A distanza di un mese, ci possiamo guardare indietro e vedere tutto quello che è stato fatto e sappiamo per certo che da una parte si è lavorato a una parte di infrastruttura, cioè la radio, che è un punto importante che ci ha permesso in maniera congiunta di creare sia momenti di intrattenimento e di convivialità durante la residenza, con un pubblico spesso presente durante le registrazioni, sia di documentare e archiviare i singoli contributi dei gruppi che potranno essere ascoltati sotto forma di Podcast sul nostro sito.

Ma vorrei parlare anche di un sistema locale di condivisione dei file e di upload che permette la creazione di un portfolio collettivo realizzato da Federico Poni, che permette a chiunque di connettersi al wi-fi locale, fatto con una Raspberry Pie, e di condividere caricando i propri contenuti affinché vengano auto-generativamente inseriti all’interno di una fanzine che verrà digitalmente resa disponibile sul nostro sito e ne sarà possibile fruire concretamente anche sotto forma di pubblicazione nei prossimi appuntamenti che ci aspettano, come SPRINT che potrebbe essere il primo.

Tutto questo discorso più tecnico di costruzione degli strumenti che possono facilitare i lavori e i processi di condivisione in residenza arriva da quello che ho imparato quest’anno al master della Piet Zwart Institute, Experimental Publishing, cioè che la vicinanza di tutti noi a questi strumenti è proprio a una distanza minima, oltre a gli strumenti consuetudinari, come il pacchetto Adobe e tutti gli altri software che tradizionalmente usiamo, c’è un mondo open-source che si basa su dinamiche di condivisione che rendono questi software e questi strumenti accessibili a tutti, modificabili da tutti, in modo tale che si faccia tesoro delle competenze di ognuno per costruire e migliorare quei singoli strumenti, ed è un po’ quello che è successo anche qua ad Habitat.

Per questo volevo passare per questa citazione di Global Tools in cui si dice:

“Occorre uscire dalle università, dalla scuola e attingere alla fonte originaria della cultura, delle idee, di ciò che spontaneamente vien fuori dai luoghi più inaspettati della società». Ciò al di là di ogni specialistica competenza che rimane un valore ma non esclusivo e dominante. Le competenze hanno un valore solo quando riescono a calamitare intorno a sé altre forze creative, quando riescono a suscitarle, ad accompagnarle, ad organizzarle.”

(Riflessioni sulla Global Tools, Archimagazine)

Ognuno, con la competenza specifica con cui è venuto qua, e con la quale avrebbe potuto tenere un workshop tranquillamente, si è messo in gioco sfidando anche le proprie capacità e dall’assemblaggio di tutti questi pezzi è venuto fuori qualcosa di magico, come le sculture fatte dal team di Rotterdam Camilo, Avital, Floor e Anna.

Vorrei chiudere con una domanda che mi è venuta in mente prima mentre stavi parlando e che potrebbe veramente aprire tantissimi altri spunti. Riguarda gli archivi. È una tematica a cui voi, in prima persona, siete molto interessati e che a me affascina molto: tutte queste dinamiche legate all’archiviazione vengono spesso ricontestualizzate nel contemporaneo da un utilizzo molto attento e intelligente dei software, della programmazione, degli algoritmi; con Habitat anche grazie al ruolo di Federico Poni, il programmatore, sviluppatore, coder, nerd (oltre che panzerotti-master). Ho sempre pensato a quanto fossero belli gli archivi, ma allo stesso tempo quanto a volte fossero difficili da consultare, quanto poi rimangono degli scaffali (fisici o virtuali) impolverati che una volta chiusi faticano poi a relazionarsi con tutto ciò che accade dopo.

Habitat è di per sé un’esperienza di recupero dell’archivio territoriale, con dei mezzi ultra-contemporanei. Mi ha colpito quando Poni mi diceva che sarebbe molto più interessante creare una propria piattaforma per poter ascoltare i Podcast e non passare per su Spotify, ma questo è solo un esempio, come la punta di un iceberg.

Volevo quindi chiederti di fare un po’ un excursus su questo approccio dell’archiviazione e raccontarci anche quello che hai imparato a Rotterdam

Lo scanner svolge un ruolo fondamentale nella nostra pratica di tutti i giorni. Lo utilizzo personalmente come strumento per trasferire la matericità degli oggetti e della carta in digitale. Proprio per il semplice aspetto archivistico che lo scanner può aprire, in questi giorni ci siamo lanciati in alcune sessioni di scannerizzazioni raccogliendo tutti i disegni, gli sketch, i volantini e gli scontrini che abbiamo trovato in giro per la casa.

Crediamo che tutto quello che c’è in mezzo tra l’inizio, tra l’ideazione di un qualcosa e la sua realizzazione, sia importante. Forse più importante. Perché poi per strada ci si perde sempre dei pezzi che in qualche modo vanno tenuti lì, connessi proprio con quel percorso, anche se nel prodotto finale si vedono più.

Quindi, in queste settimane, abbiamo avuto da subito un approccio archivistico, ma anche da prima. Ricordiamo l’esempio del libro sul Cocoricò, nato dopo una sessione lunghissima di ricerca e scansioni dei documenti di quegli anni. Anche per Amphibia abbiamo fatto lo stesso: c’è una collezione, in uscita a breve, di adesivi degli anni ‘70 e ‘80 stampati in serigrafia che racconta la provincialità fatta proprio da quelle attività locali e piccoli shop che decidevano di investire sull’adesivo come forma di engagement con il pubblico locale.

Qui, a Habitat, abbiamo voluto costruire un discorso basato sull’archivio quotidiano, proprio perché se pensiamo a un archivio ci possiamo riferire a qualcosa del passato, ma gli archivi si costruiscono anche dal giorno uno, dal “giorno oggi”. A partire da questo presupposto abbiamo confidato sullo scanner per non perderci nulla per strada durante questo nostro percorso.

Saranno tutti contenuti che saranno resi disponibili e accessibili sia in forma digitale sul nostro sito, sia in forma di una pubblicazione più grande, che raccoglierà tutto il mese di residenza, ma anche di piccole pubblicazioni e zine satellite che entreranno più nello specifico nei singoli progetti.

Ci sono ancora tante cose che vedrete, siamo solo all’inizio, anzi il vero lavoro inizia ora, proprio per mostrare al mondo tutto quello che è successo in forma di un archivio digitale stampato.

Poi c’è tutto un discorso di lavorare sugli archivi pre-esistenti. Da una parte, si può dire in queste aree non esiste propriamente. Si tratta di piccole scatole o mansarde dei comuni, c’è una open call da fare per i privati proprio un appello ad aprire i propri cassetti proprio per iniziare in seconda battuta a lavorare – insieme magari anche alla Fototeca, a Poni e gli altri interessati all’aspetto archivistico – alla costruzione e la catalogazione di questi contenuti provenienti dal territorio.

Per esempio ieri Gianmarco (di Fototeca Manfrediana, ndr) menzionava che già in fototeca hanno una raccolta di foto degli anni ‘60 del Palio dell’Uovo, che è una manifestazione di Tredozio dove si lanciano le uova da una sponda all’altra del Tramazzo che divide la città in due, un fiume, un torrente e quindi anche quello potrebbe essere uno spunto già su cui magari far partire un’altra speculazione creativa per l’anno prossimo. Vediamo, il campo degli archivi è una parentesi aperta e in continua evoluzione.

Su questa riflessione direi che possiamo anche salutarci, è stata una chiacchierata veramente interessante e ringrazio Jacopo Lega e Habitat.

Rimarremo in contatto, anche perché si sono create tantissime connessioni tra le persone che sono passate e che rimarranno in contatto anche dopo o quando finirà. Soprattutto Habitat specifichiamo che non sarà un progetto one-shot, ma c’è una pianificazione, sia da parte vostra che da parte di Distretto A e delle istituzioni di dare continuità. Oggi abbiamo seminato, le radici crescono e si raccoglieranno i frutti. Mi puoi confermare che Habitat sarà un progetto a lungo termine?

Assolutamente sì. Potremo trasformarci in nomadi, qualora la struttura che ci ha ospitato possa cambiare e non offrire più la stessa libertà di cui abbiamo goduto quest’anno. Ma siamo assolutamente aperti e anzi di curiosi di vedere proprio il territorio che cosa ha da proporci proprio perché l’intenzione è di continuare a lavorare su questo territorio pur non escludendo la possibilità di muoverci in altri borghi o pensare a una residenza fatta dentro proprio uno dei borghi, magari come residenza sparsa con diversi appartamentini e case all’interno dello stesso borgo, ti permette magari di non avere lo stesso spazio identico di lavoro, ma di spargere anche fisicamente i vari artisti nei borghi, proprio per lavorare ancora di più a contatto con questi paesi che ci hanno accolto tra le loro braccia. Vediamo cosa ci riserva il futuro, ma sicuramente ci troverete qua, di qui in avanti spero per sempre.

Ne approfitto anche per ringraziare il fantastico team che è stato parte, credo siamo alla fine tutti qua, lo stesso identico meccanismo che sinergicamente muove questa grande macchina che è Habitat. Ringrazio tutti, dal primo all’ultimo, tutti gli artisti, tutti i curiosi che sono passati, tutti i sindaci, i vicesindaci, i consiglieri comunali che ci hanno appoggiato durante l’iniziativa, di nuovo Alpi Wood e la Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì per l’opportunità che ci ha dato.

Grazie Jacopo, a presto.

Credits:

Intervista e immagini © Riccardo Fantoni Montana, Ptwschool

Ascolta il podcast su Spotify:

Habitattt.it

Aggiornamento su Habitat: Comunicato 22-10

Progetto a cura di:
Jacopo Lega
Coordinamento tecnico:
Architetto Bianca Maria Canepa
Ass. Culturale Distretto A+

con il patrocinio di:
Comune di Tredozio (FC)
Comune di Rocca San Casciano (FC)
Comune di Portico e S. Benedetto (FC)

realizzato grazie al supporto di
Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì

si ringrazia:
Alpi Wood – Modigliana (FC)

supporto immateriale di:
XPUB – Experimental Publishing
Piet Zwart Institute (Rotterdam, NL)

in collaborazione con:
Parasite 2.0 (Milano–Londra, IT – UK)
FLEE Project (Parigi, FR)
Amphibia (Rotterdam – Torino, NL – IT)
Ptwschool (Milano, IT)
47011 Records – Castrocaro (FC)
Stamperia Il Guado – Forlì (FC)
Fototeca Manfrediana – Faenza (RA)
Morbido – Torino (TO)

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